Lo Tsunami Digitale e la Ricerca di Senso
È una sensazione comune e paralizzante: essere travolti da uno tsunami tecnologico. Smartphone onnipresenti, social media che dettano le regole, un'intelligenza artificiale che avanza inesorabile, svuotando di valore e significato molte professioni creative. Come si sopravvive quando il proprio mestiere, un tempo nobile e complesso, diventa accessibile a chiunque con un clic?
In questo scenario apocalittico, la figura di Settimio Benedusi, celebre fotografo italiano, emerge non come un sopravvissuto, ma come un pioniere. Invece di combattere la marea, l'ha cavalcata per riscoprire l'essenza più profonda e dimenticata del suo lavoro. Le sue riflessioni, taglienti e controintuitive, non sono solo un manuale di sopravvivenza per fotografi, ma un faro per chiunque si trovi a creare qualcosa nel mondo contemporaneo. Questo articolo distilla cinque delle sue verità più scomode, che insieme compongono un manifesto per un nuovo tipo di creatore: uno che smette di ossessionarsi per il "come" e inizia finalmente a rispondere alla domanda più importante: "perché?".
Le 5 Lezioni Controintuitive di Settimio Benedusi
1. L'Eccellenza è L'Unica Via d'Uscita Quando il Mercato Crolla
Benedusi apre il discorso con un’affermazione che suona come una sentenza: “fare il fotografo nel 2023 è un mestiere finito che non esiste più”.
Non è una lamentela, ma la lucida analisi di quello che definisce un Gravity Problem: un problema così grande e inevitabile — come l’arrivo dei supermercati per i piccoli macellai, o di internet e dell’intelligenza artificiale per i fotografi — che non può essere “risolto”, ma solo trasceso, cambiando completamente paradigma.
L’analogia è potente. Racconta di un padre che, pur essendo il miglior macellaio della sua città, è stato travolto dalla concorrenza della grande distribuzione. Ma è proprio da questa disfatta che nasce la chiave di lettura: l’esistenza della carne a basso costo dei supermercati ha creato lo spazio e la necessità per macellai d’eccellenza come Dario Cecchini, la cui bottega è diventata una meta di pellegrinaggio.
Lo stesso vale per la fotografia. In un mondo inondato da miliardi di immagini prodotte da smartphone e AI, competere sulla quantità è un suicidio. L’unica via di sopravvivenza è puntare a un’eccellenza assoluta, irraggiungibile per le macchine. Diventare come i cavalli meravigliosi: un tempo mezzo di trasporto comune, oggi creature rare e di altissimo pregio.
Tu puoi, devi e puoi essere il macellaio migliore del mondo quando ci sono i supermercati che vendono la carne a 2 lire.
2. Per Essere un Grande Fotografo, Studia la Filosofia, non i Diaframmi
Questa è forse l'idea più radicale di Benedusi. Oggi, le competenze tecniche sono diventate quasi irrilevanti. La tecnologia, dagli smartphone all'intelligenza artificiale, ha reso praticamente impossibile scattare una fotografia tecnicamente sbagliata. Quella che per molti sembra una svalutazione della professione è, secondo lui, un'enorme fortuna.
Questa "liberazione dalla tecnica" costringe finalmente il fotografo a smettere di essere un tecnico per diventare un autore: una persona con un punto di vista sul mondo, con qualcosa di profondo da dire. E per diventare un autore, i manuali di istruzioni servono a poco. Serve la cultura, perché fare il fotografo è un mestiere intellettuale. Benedusi è esplicito: per essere un bravo fotografo non bisogna studiare i diaframmi, ma la psicologia, la filosofia, l'etica, la morale, la politica. Bisogna conoscere l'Edipo Re di Sofocle, leggere Calvino, guardare i film di Fellini.
L'esempio più lampante di questa verità è Chiara Ferragni. Senza possedere la minima conoscenza tecnica di tempi e diaframmi, ha costruito un impero basato sulla comunicazione fotografica, dimostrando che il potere di un'immagine non risiede nella sua perfezione tecnica, ma nel messaggio, nella storia e nel mondo che è in grado di evocare.
Uno per essere un bravo fotografo deve intendersene di psicologia, di filosofia, di etica, di morale, di politica, non di diaframmi.
3. Fai l'Esatto Contrario di Quello che Fanno Tutti
Questa liberazione dalla tecnica (il "come") non è fine a se stessa. È ciò che costringe l'autore a definire il proprio territorio (il "perché"), spesso trovandolo nell'esatto contrario di ciò che fanno tutti. Di fronte al caos digitale, Benedusi ha adottato una strategia tanto semplice quanto potente: osservare la massa e correre nella direzione opposta. Mentre tutti i fotografi si affannavano a collezionare follower e a produrre immagini effimere destinate a svanire nel feed di Instagram, lui ha scelto la strada dell'antico e del tangibile.
Da questa filosofia è nato il progetto "Ricordi Stampati", un ritorno radicale alla fotografia "popolare" nel senso più nobile del termine. Per capire la profondità di questa scelta, bisogna fare un passo indietro. Per secoli, il ritratto è stato un privilegio per le élite, una "certificazione identitaria" per i potenti come gli Sforza. Chi non poteva permetterselo, come Renzo e Lucia, viveva in un mondo senza immagini, subendo quello che Benedusi definisce uno "scollamento identitario pesante grave". La fotografia ha democratizzato questo bisogno, tanto che oggi portiamo in tasca la sua evoluzione: la carta d'identità. In un'epoca di immaterialità digitale, Benedusi ha capito che quel bisogno primario di un'identità fisica e di una memoria che si possa toccare era di nuovo latente.
La sua performance al mercato di Modena, vestito da domatore del circo mentre scattava ritratti alla gente comune, è il manifesto di questa scelta: abbandona la mischia assordante per trovare il silenzio in un territorio che tutti avevano dimenticato, ma di cui tutti sentivano segretamente la mancanza.
4. La Crisi è la Migliore Opportunità che Possa Capitarti
"Io adoro i problemi". Questa affermazione, che suona quasi folle, è il cuore della mentalità di Benedusi. Per lui, un problema, una crisi, una "sfiga", non è mai un punto di arrivo, ma l'unica, vera porta d'accesso per esplorare territori sconosciuti e raggiungere risultati altrimenti impossibili.
L'aneddoto che porta a sostegno di questa tesi è tanto drammatico quanto illuminante. Un ricovero d'urgenza in ospedale, un'operazione che gli ha fatto rischiare la vita. Da quella che sembrava una tragedia assoluta è nato quello che lui stesso definisce il suo lavoro più bello e importante. Dal suo letto d'ospedale, con un semplice telefonino, ha iniziato a scattare ritratti agli infermieri e ai dottori che lo stavano curando. Quelle immagini, stampate e affisse in ospedale come ringraziamento, sono diventate un'opera di un'autenticità disarmante.
La morale è sconvolgente. Benedusi afferma che, se potesse scegliere oggi tra quell'esperienza in rianimazione e un prestigioso talk con Oliviero Toscani che ha dovuto saltare, sceglierebbe senza dubbio la rianimazione. Perché solo la crisi estrema gli ha permesso di spogliarsi di tutto e creare qualcosa di così puro e significativo.
Il problema è l'unica o se non altro la migliore possibilità che uno ha di andare in territori, in situazioni, in ambiti, in cose che se non ci fosse stato problema non sarebbero state raggiungibili.
5. Dimentica la Passione, Serve l'Ossessione
Il punto finale è forse il più esigente. Benedusi dichiara di detestare la parola "passione", perché la considera un concetto superficiale, romantico e abusato, adatto più agli amatori che ai professionisti. Al suo posto, introduce un motore molto più potente e realistico: l'ossessione.
Essere ossessionati da qualcosa non significa amarla romanticamente. Significa pensarci costantemente, viverci dentro, martellare senza sosta sullo stesso punto fino a raggiungere l'eccellenza. Per illustrare questo concetto, cita Andre Agassi, che nel suo capolavoro Open confessa di odiare il tennis con tutte le sue forze, pur essendone completamente ossessionato.
Benedusi applica la stessa logica a sé stesso: odia la fotografia perché lo costringe a pensarci "27 ore al giorno, 12 giorni alla settimana e 400 giorni all’anno", ma è proprio questa dedizione totalizzante che gli permette di produrre qualità. La passione è per l'amatore che pesca al tramonto a Portofino con una birretta in mano. L'ossessione è per il professionista che è in mare aperto, in piena tempesta, alle tre di notte, per pagare il mutuo.
Uno non deve avere la passione per qualcosa, deve avere l'ossessione per quella cosa.
Conclusione: La Vera Domanda non è "Come?", ma "Perché?"
Il filo conduttore che lega queste cinque lezioni è chiaro e potente. Nell'era dell'AI e della tecnica facile, il valore si è spostato in modo definitivo. Non risiede più negli strumenti, nella perfezione estetica o nella capacità di "fare una bella foto". Risiede nell'intenzione, nella cultura, nella profondità del pensiero e nell'autenticità di chi sta dietro l'obiettivo.
Il percorso di Settimio Benedusi dimostra che la vera sfida creativa non è più tecnica, ma esistenziale. Le risposte più importanti non si trovano nei tutorial su YouTube, ma in una profonda e onesta indagine su sé stessi, sulle proprie ossessioni e sul proprio posto nel mondo.
La tecnologia può replicare un'immagine, ma non potrà mai replicare un'anima. E questo ci lascia con una domanda fondamentale. Il tuo obiettivo è creare un'immagine perfetta o avere finalmente qualcosa di autentico da dire?