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Phil Sharp: Come Fotografare le Persone, Non Solo i Volti

June 01, 2025

Phil Sharp e la ritrattistica

Nel mondo della fotografia contemporanea, Phil Sharp è una voce inconfondibile. Non è un fotografo che insegue la moda del momento o l’estetica da social network. È uno che sperimenta. Uno che usa la macchina fotografica come una specie di sonda emotiva per arrivare sotto la superficie delle persone.

I suoi ritratti colpiscono perché sembrano “respirare”. Non sono costruiti per piacere. Non sono pensati per ottenere like. Sono pensati per dire qualcosa di vero sul soggetto e sul momento. Se li guardi con attenzione, noti subito una cosa rara: ogni volto ha carattere. Ogni immagine ha un peso, come se ci fosse dentro una storia che non viene detta ma che si sente.

Perché questo dovrebbe interessarti, se sei un fotografo amatoriale? Perché, se vuoi crescere nel ritratto, devi smettere di pensare solo in termini tecnici – quale obiettivo usare, che luce scegliere, che preset applicare – e cominciare a ragionare in termini umani. Devi imparare a “vedere” chi hai davanti. E in questo, Phil Sharp è un maestro.

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Questo articolo è per te se:

  • Hai una buona attrezzatura, ma ti manca ancora la “voce”.

  • Ti sei stufato di fare ritratti superficiali e vuoi scavare più a fondo.

  • Vuoi trasformare ogni sessione in un’esperienza, non solo in uno shooting.

  • Cerchi ispirazione vera, non solo tutorial da cinque minuti.

Ti guiderò attraverso il suo approccio, la sua filosofia, la tecnica e il modo in cui lavora con i soggetti. Ogni sezione contiene spunti che puoi applicare, anche se scatti nel tempo libero o in un piccolo studio casalingo. Non serve essere professionisti per imparare a fare ritratti che lasciano il segno.

Phil Sharp ci mostra che il ritratto non è una disciplina per pochi eletti. È un linguaggio che chiunque può imparare, a patto di voler ascoltare davvero.


2. Il Ritratto Come Primo Amore

Phil Sharp descrive il ritratto come il suo “primo amore”. Non è una frase fatta. È una dichiarazione d’intenti. In un’epoca in cui la fotografia può diventare un esercizio di stile, lui sceglie un genere che richiede attenzione, empatia e tempo. Il ritratto, per Sharp, non è solo una forma di arte visiva. È un modo per capire le persone. E, attraverso loro, anche sé stesso.

“I use it as a way to understand myself and how people interact with each other.”

Questo tipo di approccio cambia tutto.

Se sei un fotografo amatoriale, probabilmente hai già fatto qualche ritratto. Magari a un amico, alla tua compagna, a un collega. Forse ti sei concentrato sulla messa a fuoco degli occhi, sulla profondità di campo, sulla nitidezza. Ma il rischio è che il risultato, pur tecnicamente corretto, resti piatto. Senza anima.

Phil Sharp ti invita a fare un passo oltre. A chiederti: chi è davvero la persona che sto fotografando? Cosa mi racconta senza parlare? E soprattutto: cosa posso restituire io, come fotografo, in quello scatto?


Esempio pratico

Immagina di avere davanti un amico. Lo conosci bene. Ma per fotografarlo “bene”, nel senso in cui lo intende Sharp, non basta conoscere la sua storia. Devi guardarlo come se fosse la prima volta. Devi lasciare spazio al momento. A quello che succede tra voi due. Devi costruire fiducia. Fare silenzio, a volte. E accettare che le prime 30-40 foto siano solo “riscaldamento”.

Sharp non fotografa solo volti. Fotografa connessioni. E questa connessione si costruisce nel tempo, non si improvvisa. Se vuoi davvero fare ritratti di livello, la macchina diventa secondaria. La tua capacità di leggere le persone, ascoltarle, mettere a proprio agio… quella diventa la tua vera attrezzatura.


Cosa puoi fare tu

  • Prima di scattare, parla con il soggetto. Non di fotografia. Di vita.

  • Non correre a cercare la luce perfetta. Aspetta che emerga il momento vero.

  • Guarda gli occhi. Ma ascolta anche il corpo, il silenzio, il respiro.

Il ritratto, se lo prendi sul serio, ti cambia. Ti insegna a vedere oltre l'apparenza. E a restituire, con uno scatto solo, qualcosa che vale mille parole.

3. Il Fattore Tempo: L'Arte della Lentezza

Una delle cose che colpisce di più nel metodo di Phil Sharp è quanto tempo dedica a ogni sessione. Non si tratta di minuti. Si parla di ore. Tre, quattro, anche cinque. Per qualcuno potrebbe sembrare eccessivo. Ma per lui è essenziale. Anzi, lo dice chiaramente:

“Time is probably the most important factor.”

Viviamo in un mondo dove tutto corre. Anche nella fotografia, c’è la tendenza a voler ottenere tutto subito: scatti veloci, sessioni brevi, editing immediato. Ma il ritratto – quello vero – non funziona così. Il tempo è una materia prima preziosa. Serve a costruire fiducia. Serve a far cadere le maschere. Serve al fotografo e al soggetto per “arrivare” veramente nel momento.

Il tempo come strumento creativo

Sharp critica apertamente i fotografi che hanno fretta. Non perché siano meno capaci, ma perché non danno al soggetto il tempo di esserci. Lui vuole che il soggetto si senta talmente a proprio agio da poter “non fare niente”.

“Comfortable doing nothing as a sort of base level.”

Per arrivare lì, bisogna saper aspettare. Guardare. Non forzare. E soprattutto: essere presenti.

Applicazione per l’amatore

Se sei un fotografo amatoriale, potresti pensare: “Ma io non ho quattro ore libere per ogni ritratto.” Giusto. Ma non è una questione di quantità. È una questione di qualità dell’attenzione. Anche in 30 minuti puoi applicare l’approccio di Sharp.


Ecco alcuni modi pratici:

  • Inizia senza fotocamera: parla, ascolta, fai domande. Crea contatto.

  • Evita di partire con “ok, ora scattiamo”: lascia che il soggetto si ambienti.

  • Non temere i momenti morti: non servono pose continue. Serve presenza.

  • Dichiara le tue intenzioni: spiega che vuoi fare qualcosa di più autentico, non solo “una bella foto”.

Allenare la lentezza

L’approccio lento non è naturale per tutti. Ma si può allenare. Prova una sessione con l’obiettivo di scattare solo 5 foto buone in un’ora. Non cinquanta. Cinque. Scegli di rallentare. Scegli di osservare. Di aspettare il momento giusto, non solo “uno bello”.

Sharp ci mostra che il tempo, nella fotografia di ritratto, non è un lusso. È una tecnica. Una delle più potenti.

4. Vulnerabilità e Verità: Ottenere il Reale

Phil Sharp non cerca la posa perfetta. Cerca qualcosa di molto più raro: l’abbandono. Quel momento in cui il soggetto smette di interpretare un ruolo, lascia cadere la maschera e si mostra per quello che è. È lì che nasce la fotografia che conta.

“I think that's what I ask of my sitters.”

Per spiegare questo processo, Sharp usa un’analogia inaspettata: l’estrazione di un dente. Quando il corpo smette di resistere e, improvvisamente, cede. Non per stanchezza, ma perché capisce che può fidarsi.

“Eventually I felt my blood pressure kind of drop and it just gave up the tooth... I felt my body just give it up.”

Questa immagine è potente. La fotografia di ritratto – quella vera – è una danza lenta tra resistenza e fiducia. Tu, fotografo, non puoi forzare il risultato. Ma puoi creare le condizioni perché avvenga.


Come si crea vulnerabilità

  • Essere presente senza giudizio. Le persone lo sentono se sei lì per davvero.

  • Non riempire il silenzio. Il silenzio è spesso il luogo in cui emergono le verità.

  • Non cercare emozioni specifiche. Lascia che arrivi quello che c’è, non quello che vuoi tu.

  • Accogli tutto. Se il soggetto è triste, lascialo essere triste. Se è nervoso, non forzarlo a sorridere. Se è contento, non smorzare. Tutto è valido, purché sia reale.

“If you're feeling happy, be happy. If you're feeling sad, be sad. But just keep that connection with the camera.”

Per te, fotografo amatoriale

Probabilmente non lavori con attori o modelli. E va benissimo così. Le persone comuni sono perfette per questo tipo di fotografia. Anzi, lo sono di più. Ma serve che tu esca dal cliché del “sorridi!”. Sii curioso, non direttivo. Sii pronto ad ascoltare più che a comandare.

Durante la sessione, guarda i piccoli segnali: un’espressione sfuggita, uno sguardo abbassato, un gesto nervoso. Quelli sono i varchi. Non ignorarli. Fermati lì. Respira. E scatta.

Quando funziona

Te ne accorgi subito. Il soggetto cambia postura. Smette di “fare”. Diventa. E tu senti che stai fotografando una persona, non un’immagine. È un attimo, ma resta. Ed è quell’attimo che separa un ritratto qualunque da uno che resta nella memoria.

5. La Luce: Lavorare con il Sole (e con l’Errore)

“The sun’s had four billion years of practice. Let’s use the natural light.”

Questa frase di Phil Sharp racchiude una filosofia precisa: la luce naturale non è solo uno strumento, è una complice. In un’epoca in cui l’attrezzatura da studio sembra la scorciatoia per risultati “professionali”, Sharp rimette al centro qualcosa di primitivo e universale: il sole.

Ma attenzione. Non si tratta di un purismo romantico. Sharp non rifiuta la luce artificiale. Semplicemente, la usa quando serve. Il suo approccio è aperto, flessibile, curioso.

La bellezza della luce imperfetta

Sharp ama la “randomness”, la casualità. Quel modo in cui la luce filtra da una finestra in un giorno nuvoloso, o come si riflette in modo irregolare su un volto. Non cerca il controllo totale. Cerca l’interazione.

E questa è una lezione potente per chi fotografa da casa, in ambienti non “ottimali”. Non serve avere un set hollywoodiano. Serve saper vedere la luce, prima ancora di controllarla.


Cosa puoi fare tu, in pratica

  • Sfrutta le finestre. Fotografa vicino a una finestra senza luce diretta, con una tenda leggera per diffondere. Osserva come cambia la luce tra mattina e pomeriggio.

  • Prova con superfici bianche. Un cartoncino bianco può essere un ottimo riflettore. Sposta, inclina, gioca.

  • Cerca l’ombra morbida. In esterni, evita il sole a picco. Cerca ombra aperta sotto un albero o vicino a un muro.

  • Non fissarti sulla simmetria. La luce laterale, irregolare, spesso è molto più interessante di una illuminazione uniforme.

Luce artificiale? Sì, ma senza rigidità

Sharp usa anche LED, scrims, filtri. Non è un purista. Ma ogni volta che impiega luce artificiale, lo fa come estensione del suo occhio, non come standardizzazione del risultato.

Quello che conta è la sperimentazione continua. Non esiste “la” luce giusta. Esiste quella che funziona per quel soggetto, in quel momento, con quella emozione. E spesso, arriva per caso.

“A lot of my look comes from that randomness.”

In sintesi

Non aspettare di avere l’attrezzatura perfetta. Comincia a osservare la luce che hai ogni giorno intorno a te. Sharp ci mostra che la vera maestria non sta nel controllo assoluto, ma nella capacità di lavorare con ciò che è vivo, mutevole, imperfetto. Proprio come le persone che fotografiamo.

6. Le Influences: Fotografia, Cinema, Pittura

Nessun fotografo lavora in isolamento. Dietro ogni stile personale c’è un mosaico di influenze. Phil Sharp lo ammette apertamente: il suo sguardo è stato plasmato da anni di osservazione, studio, confronto con altri media. Non solo fotografia. Anche cinema. Anche pittura.

“Million different choices that a filmmaker or a painter or photographer makes to bring a person from the 3D world to a 2D image.”

Questo processo – portare un essere umano tridimensionale dentro un’immagine bidimensionale – è, in fondo, ciò che ogni ritrattista cerca di fare. Sharp lo fa riflettendo su come registi, pittori e fotografi abbiano fatto le stesse scelte prima di lui.

I fotografi che lo hanno ispirato

  • Diane Arbus – per il modo diretto, quasi crudo, di ritrarre soggetti fuori dalla norma. Arbus non cercava di abbellire: cercava verità.

  • Irving Penn – maestro della semplicità e dell’uso minimale dello sfondo, per isolare il soggetto e concentrarsi sull’essenza.

  • Nadav Kander – per la capacità di creare ritratti che sembrano quasi sospesi, pieni di silenzio e tensione.

  • Philip-Lorca diCorcia – per la fusione tra realtà e finzione, il suo uso della luce cinematografica in scene quotidiane.

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Il cinema: più di un riferimento visivo

Sharp cita in particolare Il silenzio degli innocenti, per l’uso dei close-up estremi che costringono lo spettatore a guardare l’attore negli occhi, senza filtri. Questi momenti, così intimi e intensi, gli hanno insegnato quanto possa essere potente una semplice inquadratura se fatta con intenzione.

La pittura: i maestri fiamminghi

Anche la pittura entra nel suo vocabolario visivo. Sharp osserva come i pittori olandesi del Seicento usassero la luce per scolpire il volto e raccontare uno stato d’animo. Lo stesso approccio si ritrova nei suoi ritratti: ombre morbide, sfondi neutri, attenzione al dettaglio emotivo.


Cosa puoi fare tu

  • Guarda film con l’occhio del fotografo. Metti in pausa, studia la luce, l’inquadratura, la composizione.

  • Vai a una mostra di pittura. Osserva i volti, come sono illuminati, cosa trasmettono.

  • Crea una “mappa visiva”. Salva immagini che ti colpiscono – anche da riviste, cinema, pubblicità – e chiediti: perché funziona?.

Phil Sharp è un esempio perfetto di come lo stile non nasce dal nulla. Si costruisce. Si coltiva. E tu, anche da amatore, puoi iniziare oggi.

7. Voce Personale: Perché Dovrebbero Scegliere Te?

In un’intervista, Phil Sharp fa una domanda che dovrebbe tormentare ogni fotografo, soprattutto chi inizia a prendersi sul serio:

“There are hundreds of headshot photographers in London. So why should they choose you?”

È una provocazione. Ma anche una chiamata all’autenticità. La tecnica, da sola, non basta. Il mercato è pieno di fotografi tecnicamente competenti. Ma la competenza, oggi, è il minimo sindacale. Quello che conta è la voce.

Sharp spinge l’idea che ogni fotografo debba trovare la propria. Un punto di vista unico. Un tono visivo riconoscibile. Una sensibilità che si traduce in stile.

“Try and find your own voice… if you’re technically competent, congrats. But who cares?”

Cos’è una voce fotografica?

Non è un filtro. Non è un preset. Non è nemmeno un certo tipo di attrezzatura. La voce è un insieme di scelte ricorrenti: come inquadri, cosa escludi, dove metti la luce, quali espressioni cerchi, come post-produci. E soprattutto: cosa ti interessa raccontare delle persone.

Sharp, ad esempio, è interessato alla vulnerabilità, alla tensione emotiva, al non-detto. Ogni suo scatto riflette questa ricerca. Non sta copiando uno stile. Sta esternando un’interiorità.


Come si trova la propria voce?

  • Sperimentando. Sharp lo dice chiaramente: “I constantly look to new ways to keep it interesting for myself.” Non ha paura di cambiare. E non dovresti averne nemmeno tu.

  • Analizzando. Guarda le tue foto preferite. Cosa hanno in comune? Cosa ti somiglia?

  • Accettando i fallimenti. Il percorso verso una voce personale è pieno di tentativi sbagliati. Ma ogni scatto che “non funziona” ti avvicina a quello che sì, parla davvero di te.

Per te, fotografo amatoriale

Non devi vivere di fotografia per avere una voce. Puoi coltivarla nel tempo libero, nei progetti personali, nei ritratti agli amici. Anzi, proprio perché non hai pressioni commerciali, puoi permetterti di osare di più. Sfrutta questa libertà. Prova. Sbaglia. Ripeti.

Sharp ci insegna una cosa fondamentale: il ritratto non è solo guardare fuori. È anche un modo di farsi vedere.

8. Imperfezioni e Individualità: La Bellezza del Vero

Viviamo in un’epoca di ritocco ossessivo, filtri estetici e standard di bellezza irraggiungibili. In questo contesto, il lavoro di Phil Sharp è quasi un atto di resistenza. Invece di cancellare le imperfezioni, le mette in primo piano. Invece di nascondere le insicurezze dei soggetti, le trasforma in forza visiva.

“Individuals have hang-ups about their appearance, and those things are to be celebrated, not negated.”

È una dichiarazione potente. Sharp fotografa le persone così come sono, ma lo fa con uno sguardo che le nobilita, non le giudica. Non si tratta di documentare difetti. Si tratta di far emergere verità. E la verità, per quanto imperfetta, è sempre più interessante di una bellezza artefatta.

Cosa significa valorizzare le imperfezioni?

  • Significa non correggere ogni ruga in post-produzione.

  • Significa non nascondere una cicatrice, un’espressione storta, un’asimmetria.

  • Significa accettare che l’unicità non è difetto: è carattere.

Quando Sharp fotografa qualcuno, cerca ciò che lo rende diverso, non ciò che lo rende conforme. E questo lo rende libero. Libero di esplorare. Libero di trovare il bello anche dove altri non lo vedono.


Come puoi applicarlo tu

  • Parla con il soggetto delle sue insicurezze. A volte, nominarle toglie potere al disagio.

  • Scegli l’inquadratura che le include, non che le evita. Fai della particolarità un punto di forza.

  • Racconta. Spiega che il tuo obiettivo non è correggere, ma mostrare ciò che rende quella persona interessante.

Fotografare per costruire fiducia

Un ritratto che accoglie le imperfezioni comunica un messaggio silenzioso ma potentissimo: sei abbastanza, così come sei. Questo tipo di fotografia non solo colpisce chi guarda. Trasforma anche chi è stato fotografato.

Sharp parla di “genuine confidence”: una fiducia autentica, che nasce dal vedersi ritratti in modo onesto ma dignitoso. È molto più duratura di qualsiasi standard estetico passeggero. È una forma di accettazione profonda.

E da amatore, hai una posizione privilegiata: puoi offrire questa esperienza alle persone che conosci. Non serve uno studio. Serve uno sguardo che sa cosa cercare.

9. Tecnica, Attrezzatura e Post-Produzione

Phil Sharp non è ossessionato dalla tecnologia, ma la conosce a fondo. La rispetta, ma non la idolatra. Non è il tipo di fotografo che ti snocciola marche e numeri a ogni occasione. Però sa cosa serve al suo modo di lavorare, e lo usa con intelligenza.

Ha cominciato con la pellicola. E questa formazione analogica si sente ancora oggi. Anche quando scatta in digitale, il suo approccio è ragionato, fisico, consapevole. Sa che ogni scelta tecnica influisce sull’estetica, ma non lascia mai che la tecnica prenda il sopravvento.

“The technology has influenced my style… but I don’t let it dictate it.”

Le sue scelte tecniche

  • Fotocamere medio formato (Fuji GFX). Per sfruttare la profondità di campo ridotta e la qualità dei file.

  • Obiettivi Zeiss Otus. Lenti straordinarie, nitide, luminose, con una resa tridimensionale.

  • Live view. Per studiare in tempo reale la luce e l’espressione, senza staccarsi dal volto del soggetto.

Ma attenzione: non sono gli strumenti a fare il fotografo. Sharp li usa perché ha un’idea precisa del risultato che vuole ottenere. E tu puoi fare lo stesso con l’attrezzatura che già possiedi.

Post-produzione: meno è meglio

Sharp lavora in Lightroom e Photoshop, ma con misura. Non applica filtri pesanti. Spesso aggiunge grana digitale per evitare l’eccessiva pulizia dei sensori moderni. Cerca un look organico, tangibile. Non leviga la pelle. Non “ripulisce” l’immagine. La costruisce con cura, ma lascia che mantenga una certa ruvidità.

“Sometimes I add grain because otherwise it just looks too clean.”


Cosa puoi fare tu, concretamente

  • Sfrutta quello che hai. Anche con una reflex entry level o una mirrorless compatta, puoi ottenere ottimi risultati. Concentrati sulla luce e sull’emozione.

  • Impara a conoscere il tuo obiettivo. Fai prove. Scopri a che distanza lavora meglio per i ritratti. Cerca il punto in cui il soggetto “salta fuori” dallo sfondo.

  • Lavora in post come se fossi in camera oscura. Non per correggere, ma per accompagnare lo scatto verso la sua forma finale.

  • Prova la grana. Anche solo un accenno può dare personalità a un’immagine troppo digitale.

Tecnica al servizio della visione

Sharp ci ricorda che la tecnica è solo un mezzo. Il cuore del ritratto è altrove: nella relazione, nella luce, nel momento. Ma sapere come usare gli strumenti ti dà il controllo per non pensare più agli strumenti, e concentrarti sulle persone.

10. Pianificazione e Realtà: Prepararsi al Peggio, Sperare nel Meglio

Nel lavoro di ritratto, le cose raramente vanno secondo i piani. Lo sa bene Phil Sharp, che, nonostante la sua esperienza, affronta ogni sessione sapendo che l’imprevisto è dietro l’angolo. Ed è proprio per questo che pianifica sempre più di un'opzione.

“One hopes to get to execute the A-Plan, but I’ll always have a B-Plan, C-Plan in place.”

Non è solo un atteggiamento prudente. È una vera e propria filosofia. Sharp sa che, nella fotografia di ritratto, controlli solo fino a un certo punto. Poi devi improvvisare, adattarti, ascoltare il momento.

La differenza tra controllo e preparazione

Prepararsi non significa rigidità. Significa avere le idee chiare, ma anche la flessibilità per cambiarle al volo. Se la luce naturale non collabora, se il soggetto è teso, se l’ambiente crea distrazione… non puoi insistere sul “piano perfetto”. Devi sapere come deviare senza perdere l’essenza dello shooting.

Gestire i soggetti nervosi

Sharp lavora spesso con persone comuni, non solo con attori o modelli. E molte di queste persone si sentono a disagio di fronte a un obiettivo. La sua strategia non è dirgli “sii te stesso”. Non funziona.

“Telling someone to be themselves is like telling them nothing.”

Invece, lavora su una sorta di performance guidata. Costruisce un contesto in cui la persona può interpretare una versione vera di sé, come se fosse un attore che, a forza di recitare, arriva alla verità attraverso la finzione.


Cosa puoi fare tu, da amatore

  • Prepara due o tre schemi di luce. Non farti trovare impreparato se il primo non funziona.

  • Pensa a tre inquadrature: una stretta, una media, una ampia. Se il soggetto si irrigidisce, cambia prospettiva.

  • Osserva come si muove. Se una posa lo mette a disagio, lascia che si muova. A volte, il miglior scatto arriva tra una posa e l’altra.

  • Non cercare il “sorriso perfetto”. Cerca l’espressione autentica. Anche seria. Anche dubbiosa.

Quando il piano B è meglio del piano A

Sharp ci ricorda che, spesso, lo scatto migliore arriva quando qualcosa non va come previsto. Ed è lì che un fotografo si distingue: non nel replicare uno schema, ma nel riconoscere il momento giusto anche fuori copione.

11. Emozione e Risonanza: Far Pensare Chi Guarda

Molti ritratti ben fatti non restano impressi. Sono corretti, ben illuminati, ben composti… ma dimenticabili. I ritratti di Phil Sharp, invece, si fanno sentire. Ti restano in testa. Ti fanno domande. Ti costringono a guardare più di una volta.

Un critico ha detto:

“I don’t remember another portrait photographer whose work resonated with me on such an emotional level as yours.”

Questa è la chiave: risonanza emotiva. Sharp non punta solo a rappresentare. Punta a evocare. E lo fa spesso con piccoli gesti, dettagli impercettibili, sguardi non diretti in camera. In molti suoi scatti, il soggetto guarda altrove. Ma proprio per questo, chi guarda la foto si chiede: a cosa sta pensando? cosa sta sentendo?

È il contrario della fotografia “gridata”. Non ti urla: “Guarda me!”. Ti sussurra: “Fermati un attimo. Rifletti.”

L’emozione non si forza, si ascolta

Sharp non costruisce l’emozione a tavolino. La lascia emergere. È presente, attento, pronto a cogliere il momento. Ma non lo impone. Il suo lavoro è creare le condizioni perché qualcosa di autentico accada davanti all’obiettivo.

Non cerca la foto che dice “guarda quanto sono bravo”. Cerca la foto che dice: “guarda quanto è vera questa persona”.


Come puoi applicarlo tu

  • Non avere paura dello sguardo “perso”. A volte, una persona che guarda lontano comunica molto più di una che fissa l’obiettivo.

  • Cerca il momento tra uno scatto e l’altro. Quando il soggetto “abbassa la guardia”, spesso accade qualcosa di sincero.

  • Cura la composizione come un regista. Cosa c’è dentro il frame? Cosa c’è fuori? Cosa lasci intendere?

  • Chiediti: cosa voglio che senta chi guarda questa foto? Non sempre serve una risposta. A volte basta la domanda.

Una foto che respira

Un buon ritratto mostra. Un grande ritratto lascia spazio. Spazio per l’ambiguità, per il mistero, per l’interpretazione. Sharp non ti dà tutte le risposte. Ma ti invita a cercarle. E questa è forse la forma più raffinata di narrazione visiva.

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Conclusione: Cosa Puoi Imparare da Phil Sharp

Phil Sharp non offre scorciatoie. Non ti dice che basta una buona macchina fotografica o un nuovo obiettivo per fare ritratti che colpiscono. Quello che ti offre è molto più difficile – e molto più prezioso: un modo diverso di guardare le persone.

In un’epoca in cui l’estetica patinata ha invaso anche la fotografia amatoriale, Sharp sceglie il contrario: imperfezione, lentezza, verità. Sceglie di costruire ritratti che non solo piacciono, ma che toccano. Che restano.

E tu, anche se scatti nel tempo libero, anche se non hai clienti o budget da studio fotografico, puoi prendere ispirazione concreta dal suo approccio. Ecco cosa puoi iniziare a fare già dalla tua prossima sessione.


10 azioni ispirate da Phil Sharp, da applicare subito

  1. Dedica tempo. Anche solo un’ora intera a un solo soggetto, senza fretta.

  2. Parla prima di scattare. Conosci la persona. Crea una connessione reale.

  3. Accetta il silenzio. Lascia che il momento emerga da sé, senza forzare.

  4. Usa la luce che hai. Non aspettare il flash perfetto. Lavora con una finestra, una lampada, un riflesso.

  5. Prova nuove inquadrature. Vai oltre il classico primo piano. Taglia, lascia spazio, sorprendi.

  6. Valorizza le imperfezioni. Rifiuta il ritocco eccessivo. Mostra la verità.

  7. Cerca emozioni, non espressioni. Lo sguardo basso, l’incertezza, la tensione: sono oro.

  8. Sperimenta in ogni sessione. Prova una nuova lente, una nuova distanza, un nuovo metodo.

  9. Rifletti su cosa vuoi dire. Non copiare. Chiediti: cosa mi interessa davvero delle persone?

  10. Costruisci fiducia. Fallo con umiltà, con ascolto, con rispetto. È lì che nasce la foto vera.

Ultimo pensiero

Sharp ci mostra che il ritratto non è una tecnica, ma una relazione. Non è solo composizione, ma conversazione. Non è solo luce, ma tempo. Se impari a vedere in questo modo, non cambierà solo il tuo stile fotografico. Cambierà il modo in cui guardi gli altri.

E in fondo, non è questo il motivo per cui abbiamo preso in mano una macchina fotografica?

 

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